Marco
I quindici giorni a Khorog passano in fretta tra riposo, lettura e racconti e incontri con cloviaggiatori di tutto il mondo che vanno e vengono dalla Pamir. Porto un fascicollo e seguo le raccomandazioni dei medici : non muovere il braccio sinistro. Tiphaine ormai merita una statuetta d’oro : pazientemente, prepara, serve e lava i piatti, aiuta a vestirmi e a legarmi pure i capelli ! I giorni di riposo assoluto sono terminati ed è ora di ripartire, il nostro visto tagiko sta per scadere, pollice in su e via ! Il tratto di strada che stiamo percorrendo è stato riaperto da poche settimane. Lo specchio d’acqua verde turchese che riflette il paesaggio all’inverso è interrotto da tetti di case che spuntano al suo interno. I ragazzi che ci stanno offrendo un passaggio ci mostrano il video della frana che ha causato il blocco, una delle tante essendo questa zona priva di alberi. Sembra una scena apocalittica di qualche film, tanta è la sua potenza. Date un’occhiata al video. Raggiungiamo il terminal da cui partono e arrivano i camion cinesi. Siamo nella loro direzione e visto che vengono in Tagikistan solo per esportare, se ne tornano indietro vuoti !! Di certo lo spazio per le nostre case a due ruote non mancherà, ma gli autisti dai tratti cinesi, essendo in terra straniera, a differenza di quelli locali devono rispettare le regole e non fanno salire più di un passeggero per cabina : ci separiamo, saliamo su due mezzi diversi. «Come ti chiami ?» chiedo per socializzare un po’. Il camionista annuisce e ripete « come ti chiami ?»…è chiaro che non ha capito. Ci riprovo : « Io Marco e tu ? » domando mimando e facendo chiari segni. Lui ripete quello che dico. Lascio stare, non ci sono le basi per comunicare. Invece a Tiph il camionista, sarà forse perchè in compagnia di una presenza femminile, ma è tutto arzillo. Ride, scherza : « Questo camion se ne cade a pezzi, è cinese ! » sogghigna. Battutina che detta da uno con gli occhi a mandorala è davvero il colmo ;) In realtà ci spiega che loro sono uiguri. Sebbene facciano geograficamente parte della Cina, sono un’etnia a parte di orgine islamica e turcofona. A loro i cinesi non gli stanno per niente simpatici. A sinistra ci sono della casupole e il gruppo di cinque camion con il quale stiamo viaggiando si ferma. Fuori si muore dal freddo e loro si portano dietro asciugamanino, rasoio e ciabattine. Una sorgente di acqua calda, ecco spiegato il mistero : evvai di pacche nell’acqua ! Si riparte e iniziano a giocare come se sotto al culo avessero delle biciclette : si superano, si bloccano la strada a vicenda, in parallelo si sfidano a chi va più veloce, gran polveroni e buche non buche oramai non contano più. In qualche modo devono pur ammazzare le dieci ore di guida. Il buio è calato da un pezzo e a Murghab accettiamo volentieri di dormire nella pensione dei camionisti. Sono stremato non mi reggo in piedi a differenza degli uiguri che invece, sentendosi di casa, occupano il salone, attaccano con un loro dvd e si scatenano in balli folcloristici con l’energia di chi è bello fresco e riposato. Un odore di fuliggine regna nella stanza in cui dormiamo e il mio letto porta una tavola di legno solo per metà, riempio il buco con dei vestiti. Un cavo elettrico scoperto va manualmente congiunto o spostato ad un altro per accendere e spegnere la luce e ogni volta parte una scintilla...brivido…per 3 euro a notte non possiamo di certo lamentarci. I camionisti proseguiranno diritto per Kashgar, in Cina, tramite una frontiera a noi « turisti » chiusa. Noi puntiamo a nord verso il Kirghizistan. Le strade sono vuote, intorno a noi solo montagne nude e la cittàdina di Murghab in lontananza che spunta come una cattedrale nel deserto. « Un’auto un’auto.. » grido come se avessi appena assistito ad un miracolo. Il portabagagli sopra è vuoto e dietro ci sono giusti giusti due posti liberi. L’autista ha una faccia da muso giallo e porta uno strano cappello bianco e da lunghe forme, è un kirghizo. Il respiro diventa faticoso, le cime sono innevate e avvertiamo un po’ di mal di testa, ci siamo, questo è il punto più alto del Pamir : 4664mt, è la prima volta che mi ritrovo così in alto toccando terra. Il lago di Karakul appare in tutta la sua bellezza. Colori che mutano al passare delle nuvole e montagne dai dolci rilievi contornano la superficie d’acqua, sembrano panna montata. Per noi fine della corsa, questa notte ci accamperemo qui. Montiamo la tenda in questo spettacolo della natura. Le lunghe corna, la vistosa gobba e la sua folta coda rendono questa strana mucca affascinante. Emette dei suoni simili ad una vecchia motocicletta in accelerazione : è uno yak ! Non ne avevo mai visto uno in carne ed ossa prima d’ora. Ciclisti all’orizzonte ! Sono Paul e Leiset, la coppia di australiani in nostra compagnia il giorno in cui ebbi l’incidente. Ma che bella sorpresa ! Ecco che giunge anche un’altro cicloturista, Jonathan è inglese. Ci stringiamo tutti e cinque nella tenda, sorseggiamo del buon tè caldo e sgusciamo noccioline : chiacchieriamo e facciamo gli onori di casa come se fossimo comodamente seduti in un salone. Ci godiamo gli ultimi e preziossisimi raggi di sole. Con essi calerà anche il freddo. I ragazzi ci avvisano : mettevi quello che di più caldo avete e custodite l’acqua con il sacco a pelo se non volete risvegliarvi come cubetti di ghiaccio. La temperatura potrebbe scendere di 10°C sotto lo zero, d’altronde è fine settembre e stiamo campeggiando a 4000mt d’altitudine. Ci si sveglia scricchiolanti e di buon ora. Ci mettiamo da subito in postazione, farci sfuggire potenziali passaggi significherebbe passare un’altra notte in tenda. Qui le auto sono rare e in un giorno ne passano si e no due. Tre pantaloni, calzini di lana, copriscarpe, cappotto in piuma d’oca, intimo tecnico, impermeabile, guanti, scarpe e cappelli…indossiamo quasi tutto il nostro guardaroba, questa mattina, nonostante il sole, il freddo, incalzato dal vento, è penetrante. Decliniamo a malincuore gli inviti a prendere un tè dagli abitanti del villaggio : dobbiamo sorvegliare la strada. Nel paesino di Karakul gli unici punti d’acqua sono quelli dei pozzi dislocati qua e là. Funzionano per mezzo di un sistema di pompe attivato manualmente. Da un lato una persona spinge su e giù la lunga leva e dall’altro c’è chi incanala l’acqua nelle taniche. La gente va in bagno con in mano una manciata di comode pietre lisce di fiume, si sostituiscono ai quattro veli di carta igienica a cui noi europei siamo abituati. Vari abitanti ci offrono di accompagnarci alla frontiera a suon di dollari, ma siamo convinti che la « divina provvidenza » stia lavorando ad una soluzione più adatta a noi poveri squattrinati, bisogna solo avere tempo e quello proprio non ci manca !
Marco |
AutoriMarco + Tiphaine: cicloviaggiatori alla scoperta del Mondo e di realtà ecosostenibili VideoNEWS-LETTERSEGUICI SUSCRIVICIT-ShirtFOTOCategories
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May 2019
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