Nel silenzio del mattino, quando il sole sorge dietro la montagna, la nonna condivide con me un tè zuccherato. È bella, con il suo piercing al naso - un anello con una bella pietra verde - e il suo tatuaggio sul mento - sulla stessa verticale - circondato da due piccoli puntini alla base. Che portamento! Finita la sua tazza, si prepara ad occuparsi delle capre. Vedo i suoi capelli bianchi colorati con l'henné, così come sono state clorate le punte delle mie dita la sera precedente. Hanno preparato una miscela con delle foglie essiccate al sole, raccolte dall'albero di henné nel giardino e me l'hanno applicata sulle dita. Ne è venuto fuori un bel colore arancione, uno smalto naturale che scomparirà quando le mie unghie saranno completamente ricresciute.
Il resto della famiglia si sveglia. La nonna ha già acceso, fuori, un piccolo fuoco. «Fa fresco» dice lei, ma è forse quel resta di una vecchia abitudine al tempo in cui bisognava accendere il fuoco la mattina per far bollire il latte?
Ognuno afferra due capretti e li aiuta a succhiare, due mammelle ciascuno, non di più. Tutto è sotto controllo affinché resti abbastanza latte per la colazione, ossia un bicchiere di latte a testa.
Non è trascorso così tanto tempo da quando il pasto degli Omaniti era costituito da latte di capra o di cammello, datteri, pesce e talvolta carne di gazzella o di uccelli che essi cacciavano. Si doveva raggiungere Salalah, a 100 km da qui, a piedi o con gli asini ed i cammelli, per rifornirsi di zucchero, tè e riso. Si beveva un'acqua di falda leggermente salata, oggi non più potabile per l'inquinamento.
Una sera il padre di Mazin ci racconta che è cresciuto in una grotta, non lontano da qui, fino ai suoi 15 anni. Lo guardo con gli occhi sgranati, ha solo 49 anni! In 34 anni questo paese è stato completamente trasformato. Il giorno dopo, a bordo di uno dei loro enormi 4x4, ci portano a vedere la grotta, una bella spiaggia e l'oasi dove si abbeverano gli animali. Lungo la strada ci sorprendono delle graziose gazzelle. Mazin e suo fratello Salem, 27 e 23 anni rispettivamente, ci dicono che la vita era difficile a quei tempi e che oggigiorno, con l'avvento del petrolio, tutto è più facile, più accessibile.
La sera Marco domanda al padre di Mazin se la vita fosse più dura un tempo ed egli risponde che oggi ha tre pescherecci e pescatori indiani che lavorano per lui, una fabbrica per il confezionamento del pesce, camion frigorifero per trasportarlo e venderlo a Dubai. Lavora come un matto. Ci sono sempre meno pesci nel loro mare e il prezzo internazionale è basso. Così ha iniziato una nuova attività: affitta macchine per la costruzione di strade che, in Oman, sono in pieno sviluppo. A tutto questo si aggiunge la loro mandria di cento capre!
E continua: «Bisogna assolutamente che guadagni del denaro, oggigiorno, per pagare la casa moderna in cemento armato, la bolletta esorbitante di energia elettrica per alimentare l'aria condizionata, le numerose auto che possediamo e la benzina per poterle guidare, le persone che lavorano per me... La vita non era, ieri, più difficile rispetto ad oggi, non era neanche più facile, ma era semplice. Avevamo tempo e non eravamo angosciati».
Ho nostalgia ancora oggi dei miei antenati nomadi che percorrevano il deserto con il loro gregge e i loro dromedari. Genti evanescenti, di dovunque e di nessuna parte, percorrevano su e giù, con il loro agile piede, il terreno roccioso o le dune di sabbia. Andavano spuntando o dileguandosi dietro i vasti orizzonti di quest'abisso orizzontale che rappresenta il grande deserto. La frugalità che impone il loro modo di vivere ha fatto di loro degli esseri liberi. Trasportare del superfluo condanna ad una pesantezza incompatibile con un itinerare incessante su spazi infiniti.
Mi ritorna in mente anche l'immagine di mia nonna che trasformava, per non so quale magia, in banchetto le piante del deserto, qualche manciata di cereali e il po' di latte che le donavano due gracili capre. La dimora non era che una tela rapidamente eretta sotto la volta celeste, secondo gli imperativi pastorali. Tutto è semplice.
Queste sono le parole di Pierre Rabhi che hanno fatto tornare in me i ricordi dei momenti trascorsi con la famiglia di Mazin, questa famiglia che vive con gli accessori della modernità, ma che conserva ancora le abitudini di un passato non troppo lontano; quest'uomo che si accanisce per il lavoro e per le sue molteplici attività, ma che oggi fa un bilancio e si domanda: «Perché tutto questo?»
Tiphaine