Cala la notte, intorno a me campi di tè, risaie, abitazioni, bananeti…che faccio? Mi addentro per una stradina, monto di fretta la tenda in un campo, è quasi buio, nessuno mi ha visto, perfetto. Mentre sto per cadere in un bel sonno profondo, una luce puntata sul mio bivacco seguita da una voce d’uomo, mi sveglia. Apro, credo mi stia facendo segno di invitarmi a mangiare, faccio intendere che dormo…se ne va…qualche minuto dopo ritorna…cosa vuole? Ha l’aria gentile, ma sono preoccupata e nascondo lo spray al peperoncino in tasca prima di uscire per la seconda volta. Non capisco quello che dice, richiudo la tenda, lui non insiste, meno male, mi sdraio e mi rendo conto che sto tremando tutta, si ho avuto paura! L’indomani pedalando rifletto: “bhè, quanto sono scema, forse stavo nel suo campo di tè”. Non voglio più spaventarmi come ieri per fare campeggio libero da sola, e qui è troppo popolato, d’ora in avanti chiederò sempre alla gente locale prima di accamparmi. La strada per Hanoi, mi farà fare tanti begli incontri. Pedalo nella valle del Mù Cang Chài, risalgo il torrente. Da quando ho lasciato Sapa, non c’è più traccia di turisti, ma all’improvviso un viaggiatore in moto mi supera senza fermarsi. Lo incrocerò più avanti, è Julien, ci fermiamo per due chiacchiere mentre la giornata volge al termine. Ci accampiamo insieme su un terreno di una famiglia che dorme sotto lo stesso tetto con i loro maiali ; stavolta abbiamo chiesto il permesso e la ragazza tutta fiera ci ha risposto “YES”. Nel frattempo giunge un ragazzo tutto ubriaco, ci invita a mangiare con lui, sembra che si sia particolarmente “affezionato” a Julien. Non sono l’unica ad essere felice di non dormire sola stasera! Julien vive in Francia in un contesto magnifico, gestisce l’Hostellerie la Manescale che gode di una vista sul monte Ventoux e delizia i suoi clienti con piatti squisiti dal momento che fa il cuoco. Mi addormento sognando la cucina francese e di condurre una vita calma di campagna al mio rientro. Oggi c’è un altro colle da passare, in salita mi fermo ad osservare una donna in abiti tradizionali che sta facendo una tintura, le sue mani sono blu come i vestiti che lei stessa realizza ; appartiene all’etnia Hmong. Mi invita ad entrare nella sua casa in legno e mi serve del tè e del riso mischiato a dello zucchero di canna. La figlia mi veste con i loro abiti: una gonna lunga, una giacca, una cintura, delle collane d’argento… Le donne hanno dei bei capelli lunghi e neri che scendono fino al sedere. Dall’altra parte della montagna c’è Dèo Khau Pha, cade a strapiombo nella vallata, ho una vista aerea, un cartello indica le partenze per il parapendio, la discesa è vertiginosamente bella. La sera, stanca, mi fermo in un piccolo villaggio, Dong Thi Ton accetta di ospitarmi. Condivido il pane che mi resta con i suoi figli e i vicini che mi osservano curiosi. La sua casa, in effetti, è un capannone con il tetto in lamiera. Scalda l’acqua accendendo della legna, prepara un bagno caldo per il marito in una vasca e poi di nuovo anche per me. Poi cucina approfittando del focolare già avviato. Il marito esce, ceniamo tutte e due assieme ai figli, serve del liquido trasparente in dei bicchierini...è l’alcool di riso! Ho l’impressione che siamo due vecchie amiche che si rivedono e bevono per festeggiare all’incontro. Le mostro le foto del viaggio ; non parliamo la stessa lingua, ma ce la ridiamo quando caccia fuori i suoi abiti tradizionali per farmeli provare dopo avermi visto con quelli di Hmong. Dong Thi Ton, se ho capito bene, è dell’etnia Dao. Durante la serata dei vicini passano per comprare dell’alcool di riso che lei stesso produce. In Vietnam le donne lavorano duro. Sono lì con pale alla mano che sgobbano mentre gli uomini accanto bevono placidamente un caffè e fumano tabacco nelle loro canne di bambù. Sono capaci di portare dei carichi incredibili. Nella valle stanno costruendo delle piccole dighe, delle squadre miste sono al lavoro: 2 donne che si sbattano a destra e sinistra e 3 uomini che guardano! A Van Chan, la cartina segna delle sorgenti di acqua calda, cerco disperatamente un cartello turistico, un complesso termale, niente! Domando “Suoi Khoang Bàn Hoc?”, mi indicano un grosso buco nella terra da dove effettivamente esalano dei vapori. Ottimo! Immergo immediatamente i miei stanchi polpacci…auhh, è calda, brucia!! La mia pelle è rossa, mi sono scottata, risultato? Non posso più farmi il bagno, sono entrata dal lato sbagliato del laghetto. Un vietnamita mi dirà più tardi che è possibile cucinarci delle uova! Verso le 17h, la gente del paesino affluisce per lavarsi, dei bufali passano non molto lontano, le nuvole si raccolgono sulle cime delle montagne intorno, ora che inizia a piovere i bagnanti si coprono con i loro cappelli appuntiti. Qui tutto si trasporta sulle moto, anche animali chiusi in gabbie: maiali, polli…e perfino dei cani che probabilmente finiranno anche loro nei piatti. A parte qualche pietanza del genere, il cibo vietnamita è davvero ottimo, ovunque si può mangiare per 1€ : cavolo allo zenzero, riso saltato con le verdure, zuppa di tagliatelle fresche…il tutto accompagnato da ricche insalate ed erbe aromatiche. Una sera, scendo per un cammino che porta ad una casa circondata da piantagioni di canna da zucchero e piante di tè, spero di trovare rifugio nel giardino per la notte. La famiglia che vive là mi dà il permesso di mettere la tenda, ma appena sistematami, il marito viene a cercarmi e mi mostra la casa: come mai, non vogliono che dormi fuori all’umidità e in balia delle zanzare? Ouynh e i suoi genitori Binh e Toanh mi preparano un letto, mi offrono dei bastoncini di canna da zucchero di loro produzione e mi invitano per la cena (accompagnata da bicchierini di alcool di riso al miele) mentre condividiamo il tutto standocene seduti a terra su di una stuoia. La serata si conclude sdraiati su un grande divano di legno scolpito ad assaporare il tè del loro giardino. Scopro per caso il vecchio villaggio di Lang Co Duong Lâm : le sue viuzze in pavé, i suoi templi buddisti, le sue pagode e le sue casette tradizionali in legno con i tetti di tegole e con delle belle corti interne. È la calma della vita di campagna ; domani mi aspetta Hanoi, una maschera sulla bocca mi servirà per affrontare per la prima volta il traffico delle grandi città del sud-est asiatico. Tiphaine Alla frontiera di Lao Cai non sono l’unica in bici e sono di gran lunga la meno carica fra tutti ; le dozzine di cinesi e vietnamiti fanno passare da un lato all’altro chili e chili di merce caricata sulle loro bici attrezzate di portabagagli supplementari: davanti, dietro, sui lati, sopra. Non possono nemmeno sedersi, non c’è più la sella e hanno prolungato il manubrio con un bastone per manovrarla con una mano, mentre l’altra sostiene il carico. Tuttavia sono la sola a cui i cinesi fanno passare i bagagli ai raggi X… I militari mi restituiscono il passaporto col timbro, 28 novembre 2015. È un momento importante, il Vietnam. Ne parlavamo sempre come uno di quei posti lontani, che sarebbe arrivato dopo mesi e mesi, forse anche dopo anni di cammino. Un anno e mezzo dopo il primo giro di ruota a Niort, in Francia, pedalo nell’Asia del sud-est! Dopo tanti Paesi attraversati, spesso sorvolati, che si percepiscono vagamente dall’oblò di un aereo, l’emozione è forte. Sono contenta, ma allo stesso tempo un po’ triste, avrei voluto passare questa frontiera mano nella mano con Marco, condividere con lui questo momento di felicità. Per la seconda volta nel viaggio, l’orologio va un’ora indietro, la prima volta fu al confine tra Spagna e Portogallo. Adesso vado sempre più a Est, ma la Cina intera è sincronizzata all’orario di Pechino. Prima di lasciare la città devo assolutamente trovarmi una mappa cartacea del Vietnam, sono sempre senza gps e smartphone. Dopo un’ora di ricerche ne scovo una abbastanza dettagliata in un angolo polveroso di una cartoleria. Non ci sono indicati i dislivelli, sarà quindi una continua sorpresa, a cominciare da oggi che decido di prendere la strada per Sapa. La vallata è magnifica, ovunque ci sono terrazzamenti, gli abitanti indossano vestiti tradizionali molto colorati, che bello, mi offrono del tè non appena faccio una pausa per riprendere fiato, Sapa è a 1600mt d’atitudine! Dalla nebbia spunta il campanile di una chiesa, Notre-Dame del Rosario, sul portone un pannello indica in francese “aprite la porta, per favore”, entro, un ragazzo suona l’organo, che bello, non c’è nessuno. Alle spalle della chiesa le tombe di due preti francesi…risalgono ai tempi delle colonie. Dopo tutti questi Paesi attraversati così diversi, dopo così tanti chilometri percorsi, ritrovare qui la lingua francese, i segni della religione cristiana cattolica, non mi par vero. Mi sembra di sognare quando davanti a me appaiono montagne di cornetti, pane all’uvetta passa, baguette…ho le lacrime agli occhi quando mordo una di queste delizie, il paradiso in terra; i vietnamiti hanno saputo prendere il meglio dai francesi: la buona panetteria francese! Lascio Sapa, una vera trappola per turisti, per passare il colle Dèo O Quy Hô. La strada costeggia cascate, risaie a terrazze, casette tradizionali in legno, poi più in alto è la giungla, fittissima. La vista è incredibile in cima al monte Dinh Phâng Xi Pang a 3148mt. Assisto allo spettacolo ballerino delle nuvole che si alzano, scendono, risalgono, coprono la vista, poi la liberano tanto velocemente quanto il vento che soffia imponenete nella direzione opposta alla mia. Gli ultimi metri la salita e il vento sono così forti che non posso fare a meno di mettere i piedi a terra. La discesa è una goduria di cime, rocce scoscese e una giungla impenetrabile. È così ripida che, per questa volta, benedico il vento contrario che mi rallenta e mi fa risparmiare i tacchetti dei freni, tuttavia il paesaggio sfila rapidamente, supero addirittura un camion! L’adrenalina è una droga! Sono euforica! Man mano che perdo quota la presenza umana riappare: qualche casetta, dei banani, dei bufali con la faccia che assomiglia ad una mucca e con il corpo che sembra un grosso maiale nero, un ponte sospeso che valica un torrente, freno fino a farmi male le mani, voglio fermarmi e prendermi il tempo di contemplare questa natura pazza. Tiphaine Da Xichang decidiamo di imbarcarci su un treno notturno per Dali. Dopo l’avventura delle 48h di viaggio con “biglietto in piedi” (leggere qui), tentiamo l’opzione “hard bed = letto duro”. Il vagone è fatto da un lungo corridoio da un lato e file di letti a tre piani dall’altro, il bagno in un angolino e il tradizionale samovar per l’acqua calda. Le lenzuola sono piuttosto pulite, c’è addirittura un cuscino, dello spazio per i bagagli e qualcuno viene a svegliarti qualche minuto prima del tuo arrivo a destinazione…niente a che vedere con il tratto che feci Urumqi-Chengdu, qui è un paradiso! A Dali, ci mischiamo alla folla di turisti principalmente cinesi. Una visita al parco delle tre pagode, degustazione di tè alla rosa e dei biscotti ai fiori tipici della regione. Passeggiamo in bici attorno il lago di Erhai. La gente locale sorseggia una bevanda strana, proviamo: sembrano che siano pezzetti di pasta bianca o di tofu in un liquido fruttato. Più tardi, osservando dei pescatori ritirare la rete da pesca, vediamo queste piccole “paste bianche” saltellare a destra e sinistra staccandosi dalle fitte maglie…saranno almeno cotti prima di mangiarli? Sulla costa Est del lago, pedaliamo contro vento, per tutta la strada ci sono pannelli solari e mini eoliche per ogni lampione, il sibilo delle eliche ci accompagna e conferma la forza del vento. Dopo le nostre peripezie negli angoli più remoti del Sichuan, apprezziamo la comodità, la sicurezza e l’ambiente caloroso dell’albergo Dali Mufu & Dali Color of Wind. Il proprietario, Heimat, membro della rete WarmShower ci accoglie gratuitamente per tre giorni. I deliziosi piatti che sforna il suo ristorante sono la ciliegina sulla torta di questa tappa: un misto tra cucina tradizionale e moderna. Incontriamo altri cicloviaggiatori, tutti partiti dall’Europa: Michael svizzero, Anselm e Chris tedeschi, viaggiavano da soli e si sono poi uniti strada facendo. Stanchi dall’attraversamento dell’altopiano tibetano, anche loro sono venuti a riposarsi da Heimat. Ci siamo incrociati con altri ciclisti in posti diversi e ci scambiamo le novità gli uni con gli altri come membri di una grande famiglia. I turisti cinesi hanno soldi da spendere a palate, ovunque i prezzi sono proibitivi; ci raccontano che amano dire: “Si, ho comprato questa cosa molto molto cara durante le mie vacanze a Dali” anche se è possibile trovare lo stesso oggetto dieci volte meno caro al mercato della città affianco...contrattiamo per ogni cosa. Siamo assillate dalle venditrici che si fanno concorrenza tra loro, una addirittura corre dietro Sophie per venderle biscottini per i gabbiani! È un continuo! Ma la scena è comica! Tra tutti i turisti cinesi, siamo le sole a sdraiarsi per la pausa pranzo su una panchina a godersi il sole, tutti si proteggono con ombrellini e foulard, qui la bellezza fa rima con biancore. A Kunming, è Michael della rete Warmshower ad ospitarci, è professore d’inglese all’università. Da lui c’è anche Tural, un cicloviaggiaore di Baku, Azerbaigian, e la sera ci porta in uno dei suoi posti preferiti dove ormai tutti lo conoscono. I bicchierini di grappa al limone sono accompagnati da tofu, patate, formaggio di capra grigliati su un barbecue alla cinese. Si è creata una bella atmosfera in questo localino fronte strada in cui a fine serata il proprietario, i suoi amici e i suoi clienti si ritrovano tutti intorno allo stesso tavolo a ridere e a scherzare nonostante non parliamo la stessa lingua. L’indomani Michael ci inizia alla cerimonia del tè per degustarlo come si deve. Il tè dello Yunnan come alcuni vini, migliora invecchiando. Sophie deve rientrare, ho cercato di convincerla a perdere l'aereo…è stato bello vivere questa avventura con lei: momenti difficili, momenti di allegria, il viaggio in bici ci mette a nudo, ci si scopre da un’altra prospettiva. Se cambi idea, raggiungimi! Il visto cinese scade tra due giorni, è giunta l’ora di uscire dal Paese. Alla scala della cartina della Cina sembra che mi trovi vicinissima alla frontiera, ma in realtà mancano ancora 400km. Opto di nuovo per il treno, ma questa volta la bici deve viaggiare con me. Non posso permettermi di lasciarla al servizio bagagli come di solito si fa in Cina, perché, di solito, arriva uno o due giorni dopo. Non vorrei ritrovarmi a passare la frontiera a piedi. Voglio smontare la bici alla stazione, la vite della ruota posteriore è bloccata…pazienza, avvolgo la bici in un telone così come sta, il bagaglio è enorme e passa appena attraverso la macchina ai raggi X (l’ingresso in una stazione cinese è come quello di un imbarco in aeroporto). Non passo inosservata, un paio di minuti e il capostazione corre verso di me, chiama degli studenti che parlano inglese, ci scompisciamo dalle risate ad ogni frase, rido con lei, almeno prendiamo le cose con il sorriso...”Non potete entrare nel treno con la vostra bici!”. Le spiego che non ho scelta, devo uscire dal Paese e non lo farò senza la mia bici! (sempre in maniera educata ovviamente, non vorrei far perdere la faccia a questa signora). Una mezz’oretta di discussione più tardi conclude: “Ok, va bene, che vada per questa volta, ma che sia l’ultima!”. Si, si, certo signora, non c’è rischio, domani sarò in Vietnam!
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