Andiamo in depressione, meno 40 non sono ovviamenti i gradi, ma i metri sotto il livello del mare. Sulla mappa digitale di fronte a noi dovrebbe esserci un braccio del Caspio, invece c'è solo sabbia gialla e a strati bianca. Come si sa entrare in depressione è facile, ma uscirne è dura. E così lo è allegoricamente anche per noi. La terra è fine come borotalco ne rispiriamo in gran quantità ad ogni sorpasso di camion. Arranchiamo sullo sterrato polveroso, un cartello segna 12% di pendenza in salita. Sarà l'acqua di pozzo bevuta a Shetpe o qualcos'altro, ma oggi stiamo davvero male di pancia e il sole picchia più del solito. Nemmeno alla pausa pranzo riusciamo a riposare come si deve a causa dei 45°C e delle maledette mosche ! Chiediamo alle nostre gambe di sacrificarsi e portarci almeno fino al prossimo villaggio. Una iurta in un giardino appena fuori Saiutes mi ispira buone vibrazioni. Chiediamo di mettere la tenda, ci offrono da mangiare e piango quasi di gioia quando ci propongono una bella doccia fredda. Domani si resta qui, il nostro corpo necessita riposo !
Mi piace lo stile delle case kazake, sono « minimal », senza fronzoli e con ambienti multiuso. Praticamente le stanze sono vuote. Per mangiare si stende una tovaglia e dei tappetini a terra, un cuscino se invece si vuole dormire..niente di più niente di meno ! In quelle più sofisticate al massimo ci puoi trovare un divano. Questa sera ci aspetta un vero è proprio rito. Preparano il Beshbarmak, il piatto nazionale. Le donne mangeranno in cucina, i « veri » uomini nel salone. Solo alla mamma è consentito restare per il tempo necessario alla preparazione finale del piatto, poi di là con le altre ! Il tavolino regge un grosso vassoio il cui fondo è coperto da enormi rettangoli di pasta cotta. Al centro una bella testa di pecora a cui non manca nulla. Con un gran coltellaccio si scuoia la pelle, poi tocca alla lingua, alle orecchie, al cervello e così via. Il tutto viene mescolato con la pasta, delle cipolle e delle patate. Sei mani si allungano verso il vassoio. Si immergono quasi completamente nel piatto. Con le dita si taglia la pasta fino a ricavarne un pezzo sufficientemente ampio per raccogliere il resto del condimento. Mani e bocca grondano di grasso, una tazza di shubat e due tovaglioli vengono fatti passare tra le sei persone che cirdondano la tavola. A pasto concluso, ci si sposta indietro di 50cm. Una persona passa con una bacinella e versa dell'acqua da una brocca per consentirci di pulirci dall'unto, eppure il bagno con sapone e acqua corrente è nella stanza affianco, ma per gli uomoni è meglio farsi servire. Infine, i palmi rivolti verso l'alto si fanno passare con un gesto davanti agli occhi. È l'equivalente islamico del nostro segno della croce. Le danze sono chiuse. Le donne ritornano, sparecchiano e si occuperanno di prepare il tè e lavare i piatti. Gli uomoni sono liberi di andare a poggiare il loro pesante culo altrove :)
Marco